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La cassettina e l’invenzione della playlist (più bonus tracks)

mix tape
la  cassettina

Siamo noi quarantenni i veri inventori di Spotify, Deezer, LastFM e chi più ne ha più ne metta. Siamo noi che abbiamo vissuto quel fantastico periodo delle compilation autoprodotte registrate su cassetta ad essere i primi a smembrare i nostri album preferiti per creare delle playlist che seguissero i nostri gusti e che, all’occorrenza, ci rappresentassero all’esterno (se vi riconoscete in queste prime righe probabilmente avrete anche voi confezionato svariate cassettine per la lei o il lui di turno fino a sfiorare lo stalkeraggio musicale). Siamo ancora noi che, dopo aver di fatto inventato le playlist personalizzate, adesso guardiamo con divertito disprezzo la funzione Genius di iTunes, masticando tra le labbra qualche insulto. Dobbiamo prendere coscienza che la rivoluzione del mercato musicale che è in atto negli ultimi anni l’abbiamo creata noi 20-30 anni fa e quindi, con una discreta percentuale di probabilità, siamo responsabili anche della prossima scomparsa di un altro pezzo di storia del disco.

Sto leggendo un po’ di articoli e sembra certa, oramai, la fine anche dell’album (inteso come raccolta di brani) a vantaggio della singola canzone.

Si sta tornando insomma alla situazione di 50-60 anni fa quando il 45 giri la faceva da padrone e l’album, se c’era, arrivava parecchio dopo come semplice raccolta di successi precedentemente editi. Poi arrivarono i Beatles e lo scenario fu ribaltato. La necessità creativa di raccontare storie, creare mondi e suggestioni non poteva essere racchiusa in uno spazio temporale di pochi minuti. C’era bisogno dell’album, che a volte diventava concept-album, ma anche quando non lo era riusciva bene a rappresentare il sentire dell’artista in quel particolare momento. Il successo ci fu, e fu enorme. Anche più avanti, quando con l’avvento di Mtv il mercato dei singoli rialzò la testa, il formato album tenne alla grande (alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non è andato fuori da un negozio di dischi ad aspettare l’apertura per essere il primo a comprare il nuovo album di… ) e successivamente a cavallo dei due millenni lo soppiantò definitivamente.

Che cosa è successo negli ultimi 10-15 anni? La “rivoluzione digitale della fruizione musicale” ha cambiato completamente le carte in tavola. L’avvento dei file mp3 e tutto quello che gira intorno ha comportato notevoli migliorie, come poter portare moltissima musica in pochissimo spazio (adesso non devo più portarmi 20 cassette quando vado in auto) oppure accedere in maniera molto più veloce ad una discografia sconfinata. Io personalmente ho scoperto tanti artisti che non conoscevo grazie a Spotify, e questo a mio parere porterà ad una piena maturità dell’ascoltatore che, per anni, soggetto passivo (delle playlist chiuse di network radiofonici e canali video musicali) diverrà finalmente attivo. Saremo, sì, invasi da un mare di produzioni (la gran parte di scarsa qualità) ma avremo, con il tempo, acquisito i mezzi per poter districarci al meglio nel mare di suoni che ci sta piovendo addosso.

high fidelity
High fidelity

Fin qui i lati positivi della rivoluzione. I lati negativi sono per lo più affettivi (tralasciando il tracollo economico dell’industria discografica che ha travolto pesci grandi e pesci piccoli, come me). Alcuni ragazzi di oggi non conoscono proprio il cd come supporto musicale, figuriamoci il vinile e tutto ciò che sta in mezzo; sono nati con la musica “liquida” e non sentono il bisogno del supporto fisico ne tanto meno, in gran numero, si sentono in dovere di pagare qualcosa per la musica che ascoltano. In pochi anni si è creata una voragine tra chi come noi è cresciuto col culto della collezione e chi, invece, di mettersi dei cd in casa, tipo libri in biblioteca, proprio non ci pensa. Quindi ci ritroviamo a cavallo dei 40 anni a caccia degli ultimi negozi di dischi ancora in attività o di fiere di appassionati, un tempo orgogliosi di mostrare la collezione di dischi ai nostri ospiti e adesso, invece, dagli stessi guardati come dinosauri (ma non quelli veri, quelli finti dei musei, quindi non con ammirato terrore ma con malcelato scherno e compassione).

Il digitale ed i vari servizi di streaming musicale hanno cambiato il gran parte il nostro modo di vivere la musica, raramente ascoltiamo un disco per intero, più frequentemente saltiamo da un brano all’altro e da un genere a un altro. Non so se realmente tutto questo porterà alla scomparsa definitiva dell’album dal mercato (ne dubito) oppure sia solo un episodio ciclico (come la storia della discografia ci insegna), mi auguro che le diverse realtà che abbiamo conosciuto durante gli anni continuino ad esistere seppur con numeri diversi. La passione per la musica, come noi l’abbiamo conosciuta, passa per innumerevoli fattori. Il vinile, il fruscio, le grandi copertine, l’hi-fi, l’attesa per l’uscita del nuovo album, la canzone che ti sorprende in radio… e poi metteteci quello che volete voi. Non è detto che alla fine una cosa escluda per forza un’altra e magari fra un po’ di tempo ci ritroveremo di nuovo con le dita su play – pause e rec.

In allegato quella che oggi sarebbe la mia cassettina (vol. 1)

BRUCE SPRINGSTEEN – THUNDER ROAD

THE RONETTES – BE MY BABY

THE MOODY BLUES – GO NOW

NEIL YOUNG & CRAZY HORSE – MY MY, HEY HEY (OUT OF THE BLUE)

DEREK AND THE DOMINOS – LAYLA

DAVID BOWIE – LIFE ON MARS?

SAM COOKE – A CHANGE IS GONNA COME

THE BAND – I SHALL BE RELEASED

THE BEATLES – ABBEY ROAD MEDLEY

BRUCE SPRINGSTEEN – JUNGLELAND

Grandi speranze?

Springsteen-High-Hopes
Springsteen-High-Hopes

Facciamo un paio di premesse. Uno. Non sono un critico musicale, e non voglio esserlo. La musica l’ho studiata, ma è passato tanto tempo, non possiedo le qualità tecniche per poter analizzare e “giudicare” ogni singola nota, tonalità, pausa, passaggio, accordo. E poi a me piace ascoltare la musica con la pancia, più che con la testa: voglio lasciarmi trascinare dalle emozioni che quel particolare pezzo mi comunica in quel momento. Due. Sì, sono springsteeniana. Verace, appassionata, sfegatata. La mia non è semplice idolatria: è un cercare me stessa in quella dimensione che affonda le radici in straordinarie parole messe in musica. E non difendo ogni suo lavoro solo perché “è di Bruce”: gli riconosco degli scivoloni non indifferenti, che comunque fanno parte della carriera di un artista a 360° come lui.

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Luca D’Aversa – Musica italiana dalle radici internazionali

Luca D'Aversa
Luca D’Aversa (foto di Diletta Parlangeli)

Luca D’Aversa è il primo album, omonimo, di un cantautore romano fuori dalle convenzioni di una scena musicale, come quella italiana, che sembra fossilizzata quasi esclusivamente sugli input che gli provengono da talent-show e affini. Continua a leggere Luca D’Aversa – Musica italiana dalle radici internazionali